All’ultimo minuto è il contest di scrittura a tempo del Garfagnana in giallo. La prima edizione ha visto numerosi autori sfidarsi partendo dall’incipit di Alice Basso. In vista della premiazione del Garfagnana in Giallo 2022, che si terrà a metà luglio, pubblichiamo i racconti per la lettura e la valutazione da parte dei lettori e dei giurati. Il bando lo potete trovare qui www.garfagnanaingiallo.it Scadenza 15 giugno 2022
La mina.
Non era affatto una notte buia e tempestosa. Magari lo fosse stata. Una di quelle belle nottate di tormenta, in cui il vento ulula e la pioggia sferza i vetri, e qualsiasi impresa tu intraprenda si ammanta di dramma e di pathos. Quanto gli sarebbe piaciuto, avere un po’ di supporto scenografico da parte di Madre Natura. Così, tanto per aiutare la motivazione, per rendere ancora più epico e memorabile ciò che lui era in procinto di fare. Invece: niente. Aria ferma. Calma piatta. Nessun cenno di empatia da parte del cosmo. Si rimboccò le maniche. Non importava che l’universo sembrasse imperturbato e indifferente: lui aveva da fare una cosa di capitale importanza. Una cosa che gli avrebbe cambiato la vita. Lì, nascosto nell’ombra in piena campagna.
Il frinire delle cicale continuava a rimbombargli in testa, aumentava la tensione che già la faceva dolere. Eugenio portò la mano sinistra sul capo per asciugare il sudore che la imperlava. Non avrebbe dovuto sbagliare, il suo ruolo era il più facile anche se quello più importante. Ancora un quarto d’ora e il porco di Mister Al sarebbe morto.
A Gianni e Roberto erano toccati il pedinamento, il confezionamento della mina e la scelta della sua ubicazione. C’erano voluti mesi per preparare il momento che ora stava vivendo. Eugenio era pervaso dall’ansia. L’esplosivo in emulsione di ultima generazione e il detonatore ad onda d’urto l’avevano pagato caro, ma ne era valsa la pena. Avrebbero speso anche il doppio per uccidere il datore di lavoro. In zona abitavano numerosi cavatori di granito, cosa che si era rivelata una fortuna. Eugenio ci pensò: avrebbe dovuto lavorare in miniera anche lui piuttosto che farsi sfruttare e umiliare dal porco nella conceria: “Deve brillare in cielo, raggiungere le poche nubi che oggi lo velano. Voglio sentire l’odore del grasso che si mischia al fumo, vedere le sue carni fondersi coi vetri e le lamiere del SUV. Non capisco un cazzo? Siamo dei buoni a nulla? Vedremo se siamo degli incapaci. Mancano dieci minuti, e poi constateremo chi è l’idiota”.
La lancetta dell’orologio fa un nuovo scatto. Sono fosforescenti, ho dovuto lasciare il telefono in casa. Fino a mezz’ora fa abbiamo scambiato messaggi e chiamate. Abbiamo studiato i minimi particolari. Punto primo: evitare di essere agganciati dalle cellule telefoniche. Quando tutto sarà finito riprenderemo con la copertura. Mi bastano venti minuti per rientrare passando dai campi. Eugenio resisti, ormai manca poco. Di giovedì il porco rientra sempre alle undici esatte. La moglie gli impone il coprifuoco. Dal momento in cui esce dall’ufficio alle sette, va a scopare con l’amante, ma non può tardare. La moglie sa tutto, ma è un cane che vuole mantenere le apparenze. E questo è per lui il tratto più breve per rientrare. La strada sterrata dove lo attendo, accorcia di molto il suo percorso. Povero porco. Avrà ancora le mutande macchiate dei suoi umori, il sapore in bocca dell’amica ventenne. Prendilo come l’ultimo desiderio, approfittane, te l’abbiamo concesso. Fumati anche l’ultimo dei tuoi sigari con cui ci appestavi i vestiti.
Ancora cinque minuti, le mani mostrano un lieve tremore. Eppure la parte più rischiosa l’hanno fatta gli altri. Preparare la mina, scavare vicino al muretto, piazzarla con mani salde e preparare i contatti col ricevitore. Non rimane che restare bassi dietro al guardrail, in curva, e mantenere gli occhi aperti. Non devo sbagliare, mi trovo a cinquanta metri dal punto convenuto. È la distanza che assicura l’incolumità. Per il resto devo premere il pulsante. In realtà anche la mia non è una parte da poco. Se qualcosa dovesse andare storto potrei essere preso da una volante mentre fuggo, o potrei essere visto da un vecchio impiccione insonne. Ma chi se ne importa, ne vale la pena. Forza Eugenio che manca un minuto.
Due grossi fari avanzano nel buio della notte, è lui. Illuminano il cielo scuro e proiettano le sagome di ombre che si allungano e si accorciano. Il battere d’ali di un barbagianni a caccia di roditori mi fa sobbalzare.
Mi concentro. Trenta metri dal punto prestabilito. Venti, dieci, cinque. “Addio Mister Al”.
La mina brilla violenta. Metri cubi di terra si alzano insieme all’erba e alle lamiere come nell’eruzione di un piccolo vulcano. Dopo aver toccato le poche nubi nel cielo, sassi, polvere e fumo si sparpagliarono al suolo. Una voragine occupa il tratto della carreggiata dove la stretta strada di campagna si ripiega a formare un tornante protetto dal guardrail.
Il Suv è fermo a distanza. Mister Al scende lasciando il posto guida. Ammira il botto come se si davanti ai suoi occhi stessero esplodendo i fuochi di Capodanno. Sorride, poi ride. Si accende un grosso sigaro e risale in macchina senza abbassare il finestrino. Si piega verso il cassetto lato passeggero e lo apre. Prende due mazzette di banconote e, raddrizzatosi sul sedile, le porge alle sue spalle. “Bravi ragazzi, mi avete fatto risparmiare i soldi di un licenziamento e le rogne coi sindacati. Il rompiscatole è andato”.
Gianni e Roberto allungano le mani fameliche per prendere i soldi.