All’ultimo minuto è il contest di scrittura a tempo del Garfagnana in giallo. La prima edizione ha visto numerosi autori sfidarsi partendo dall’incipit di Alice Basso. In vista della premiazione del Garfagnana in Giallo 2022, che si terrà a metà luglio, pubblichiamo i racconti per la lettura e la valutazione da parte dei lettori e dei giurati. Il bando lo potete trovare qui www.garfagnanaingiallo.it Scadenza 15 giugno 2022
Luna.
Non era affatto una notte buia e tempestosa. Magari lo fosse stata. Una di quelle belle nottate di tormenta, in cui il vento ulula e la pioggia sferza i vetri, e qualsiasi impresa tu intraprenda si ammanta di dramma e di pathos.
Quanto gli sarebbe piaciuto, avere un po’ di supporto scenografico da parte di Madre Natura. Così, tanto per aiutare la motivazione, per rendere ancora più epico e memorabile ciò che lui era in procinto di fare.
Invece: niente. Aria ferma. Calma piatta. Nessun cenno di empatia da parte del cosmo.
Si rimboccò le maniche. Non importava che l’universo sembrasse imperturbato e indifferente: lui aveva da fare una cosa di capitale importanza. Una cosa che gli avrebbe cambiato la vita.
Non pioveva da giorni e la pala faticava ad affondare nella terra secca. La luna piena illuminava il campo come se fosse giorno. Questo lo rendeva nervoso, frettoloso, si sentiva troppo allo scoperto. Aveva aspettato quel momento per giorni e si era deciso a passare all’azione nella notte peggiore che gli potesse capitare. Mancava solo il cricri dei grilli a incorniciare quella perfetta atmosfera romantica. Un’atmosfera che non gli serviva, che lo distraeva dall’essenzialità di ciò che stava facendo.
Si asciugò la fronte e riprese a scavare. Aveva perso la cognizione del tempo e non sentiva più le braccia. Continuava a guardarsi attorno sperando di non vedere ombre scure che gli si avvicinavano, sperando di non essere scoperto, sperando di non essere interrotto da quel compito che solo lui avrebbe potuto portare a termine. Quelli erano i patti.
Stava compiendo un gesto che fino a pochi mesi prima lo avrebbe fatto rabbrividire al solo pensiero. Adesso, invece, non provava più niente. Aveva lo sguardo vuoto e freddo, uno sguardo che non gli era mai appartenuto. Uno sguardo che si era spento quando aveva perso l’unico altro sguardo in cui avrebbe avuto senso immergersi per il resto della vita.
La pala prese a scavare con più foga e con più velocità. I muscoli urlavano tregua ma lui non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Avrebbe portato a termine quella cosa assurda che gli era stata chiesta. Non si sarebbe fatto domande. Niente sarebbe riuscito a spaventarlo. Niente, su quella terra, meritava ancora la sua paura, le sue lacrime, il suo dolore. Non più.
Il rumore sordo della pala contro qualcosa di duro lo fece tornare umano per qualche secondo, il tempo necessario a rendersi conto che ce l’aveva quasi fatta, per poi riprendere immediatamente, in modo animalesco, a scavare. E quando la pala era ormai diventata d’intralcio, furono le sue mani ad affondare nella terra, a graffiarsi, e a spargere il suo sangue sul legno ancora integro della cassa che era riuscito a riportare all’aria, a illuminarsi di quei raggi di luna che continuavano, prepotenti, a sovrastare con magnificenza quella scena.
Serviva un attrezzo diverso per aprire la cassa. Prima di prendere il piede di porco dallo zaino che aveva lasciato in cima alla fossa, si passò le mani sporche e doloranti sulla faccia e tentò con tutto se stesso di trattenere l’urlo che si portava dentro da troppo tempo, e che nemmeno una bestia avrebbe potuto eguagliare. Più nulla, in quella sagoma oscura persa in un campo immenso avvolto dalla notte, sembrava appartenere ancora al mondo degli umani. Era come se anche la sua anima, come quella di tutti i corpi che lo circondavano, fosse evaporata in una dimensione irraggiungibile da un corpo e da una mente.
La cassa si aprì spezzandosi su un lato del coperchio, sputandogli addosso una zaffata di cadavere che, per quanto si fosse preparato, gli era parsa comunque insopportabile. A mani nude continuò a spezzare pezzi di legno marcio fino a raggiungere il punto che gli interessava: il taschino della giacca indossata da un uomo che non conosceva, un uomo di cui non era rimasta ormai nessuna sostanza, un uomo che tentava solo di riposare in pace, un uomo che era l’unica via per arrivare alla sua Susanna.
Frugò nel taschino logoro e tirò fuori un sacchetto spesso che sembrava essere di velluto. Svuotò il contenuto sul palmo della mano e si meravigliò di quanto delle pietre, seppellite sotto terra per anni e illuminate dal solo bagliore della luna, potessero brillare così tanto.
«Non do nulla per nulla» gli aveva detto il tizio che parlava coi morti.
«Ti do tutto quello che vuoi. Soldi? Vuoi dei soldi? Dimmi quanto.»
Lui gli rise in faccia. Glielo avevano detto tutti che quel tale non chiedeva mai soldi perché non gli servivano. Non sapeva che farsene dei soldi, così gli avevano detto.
Lo supplicò. Avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per riavere indietro Susanna perché quel tale era l’unico che manteneva le promesse. L’unico che non si prendeva gioco dei vivi quando si trattava di morti.
Lui rise ancora. «Tu rivorresti lei?» gli chiese.
«Sì. La rivoglio, sì, ti prego. Dimmi quello che vuoi. Ti do tutto quello che vuoi, lo giuro!»
Una manciata di diamanti.
Voleva solo una manciata di diamanti. I diamanti che diceva lui però. Esattamente quelli. Gli aveva dato istruzioni precise. A lui sembrò un giusto compromesso. Una manciata di diamanti e lui e Susanna si sarebbero ricongiunti. Per sempre.
Stringeva ancora le pietre nella mano quando un’ombra lo coprì completamente nascondendogli la luna. Si sentì spacciato. Non poteva essere stato scoperto proprio in quel momento. Non ora che ce l’aveva fatta.
Sollevò piano gli occhi verso l’ombra, provando quasi una sensazione di paura. Poi sorrise. Rimise le pietre nel sacchetto e allungò la mano per farsi aiutare a uscire dalla fossa.
«Ce l’ho fatta!» gli disse mettendogli il sacchetto tra le mani, con le lacrime agli occhi.
Lacrime. Il segnale che era finalmente pronto a tornare a vivere.
«Quando posso vederla?» chiese all’ombra, con un tono di voce che gli ricordava quello che era stato un tempo.
Il rumore del colpo di pistola munita di silenziatore si percepì come se fosse un cuscino di piume che cade da un’altezza di circa due metri. La stessa altezza da cui precipitò nella fossa il corpo senza vita di un uomo che sarebbe stato trovato l’indomani mattina, svuotato per sempre della sua anima.
Del resto nessuno gli aveva promesso che lui e la sua Susanna si sarebbero ricongiunti sulla terra. E forse era anche meglio così.
Non era affatto una notte buia e tempestosa. Era una notte di luna piena, luminosa e romantica. E lui non avrebbe potuto scegliere notte migliore.