Il patto. Racconto A17 “Contest All’ultimo minuto”

All’ultimo minuto è il contest di scrittura a tempo del Garfagnana in giallo. La prima edizione ha visto numerosi autori sfidarsi partendo dall’incipit di Alice Basso. In vista della premiazione del Garfagnana in Giallo 2022, che si terrà a metà luglio, pubblichiamo i racconti per la lettura e la valutazione da parte dei lettori e dei giurati. Il bando lo potete trovare qui  www.garfagnanaingiallo.it Scadenza 15 giugno 2022

Il patto.

Non era affatto una notte buia e tempestosa. Magari lo fosse stata. Una di quelle belle nottate di tormenta, in cui il vento ulula e la pioggia sferza i vetri, e qualsiasi impresa tu intraprenda si ammanta di dramma e di pathos.

Quanto le sarebbe piaciuto, avere un po’ di supporto scenografico da parte di Madre Natura. Così, tanto per aiutare la motivazione, per rendere ancora più epico e memorabile ciò che lei era in procinto di fare.

Invece: niente. Aria ferma. Calma piatta. Nessun cenno di empatia da parte del cosmo.

Si rimboccò le maniche. Non importava che l’universo sembrasse imperturbato e indifferente: lei aveva da fare una cosa di capitale importanza. Una cosa che le avrebbe cambiato la vita.

Fissò con cura il faretto sul capo, controllò l’imbracatura e s’infilò nello stretto passaggio della grotta. La luna era quella “del contadino”, tonda e pingue, capace di infilarsi con i suoi raggi anche in quel pertugio e seguirla.

«Piano, Elena, fai piano…» si disse la ragazza, e pensò a quante volte quella sua abitudine a darsi consigli e ordini l’aveva salvata nelle situazioni più assurde. Pensò anche che il professor Manfredi non avrebbe mai avuto l’ardire di salire su quel monte di gesso e poi di calarsi nella grotta.

Troppo anziano, troppo prudente. Troppo onesto.

Qualche pipistrello, disturbato dal faretto, si staccò dalle pareti e prese a svolazzarle intorno. Elena pensò che era una fortuna, in fondo, avere soltanto una semplice fobia nei confronti delle farfalle e amare tutti gli altri esseri (dalle quattro zampe alle centinaia).

Continuò a scendere fino a che la luna sparì e solo una piccola porzione di cielo blu cupo indugiava sul suo capo, lassù in alto.

Piegò il capo verso il fondo dell’antro, staccò la torcia dalla cintura e scrutò con cura il pavimento biancastro. Gesso anidro, bello, certamente, ma di nessun valore per le industrie. Solo per quel motivo, fino ad allora, nessuno aveva pensato di utilizzarlo demolendo quei monti.

Ma non era il gesso ciò che lei cercava e non erano nemmeno i cristalli di quarzo nero che, spesso si trovavano incastrati nei blocchi di anidrite.

A un certo punto lo vide. Anzi: prima vide le corde, poi lo zaino e gli occhiali.

Si lasciò scivolare velocemente fino in fondo e si avvicinò tanto da riconoscere la marca dello zaino del professore. «Prof, l’ha comprato dai cinesi?» Le aveva detto ridendo la prima volta che, con lui, si era avventurata su Monte Rosso. Che poi, si chiamava così non perché fosse rosso, ma perché l’antico toponimo “Ruzzolo” si era via via trasformato, nel dialetto del luogo, in “Ross”.

«Professor Manfredi! Professore… Dio mio…»

Morto, era morto, freddo e bianco come le pareti di gesso intorno.

E tutto ciò per cosa?

Elena era in caserma, aveva telefonato subito ai carabinieri e ora si trovava davanti al maresciallo Domenici. Perché erano andati in quella grotta di notte? Elena, più che altro, si chiedeva chi avesse sparato al professore e perché.

«Dunque, signorina, lei era lì per cercare dei documenti, ho capito bene? E delle armi?»

Elena si tormentava un ciuffo di capelli sfuggito all’elastico e si mordeva l’interno delle guance nella speranza di riattivare la salivazione completamente azzerata.

«Armi, sì, dei partigiani. E documenti… documenti che proverebbero… insomma; roba grossa, maresciallo!»

«E pure Manfredi, il professore, li cercava?»

«Certamente, io li avevo trovati, ma li avevo lasciati nella grotta. Eravamo rimasti d’accordo che ci sarei andata io a recuperarli. Poi, avremmo avvisato proprio voi…»

«Noi? E perché?»

«Ha presente il padre dell’onorevole nostro concittadino?»

Erano tornati alla grotta al mattino, lei e i carabinieri. Il corpo era stato portato via.

Lungo il percorso a piedi, tracce di pneumatici di un grosso fuoristrada indicavano che qualcuno, durante la notte, si era spinto fin lassù.

«È di un cacciatore, questo…» disse Dominici.

Elena gli aveva raccontato del patto tra un certo personaggio e un comandante tedesco durante un rastrellamento, e di quanti soldi questo personaggio aveva ricevuto per tradire.

Erano passati più di settant’anni, ma la ferita era ancora aperta. Qualcuno dei più anziani lo aveva sempre detto che c’era stato un traditore, un vigliacco che li aveva venduti come Giuda aveva farro con Cristo.

Il figlio dell’onorevole era al bar, nel centro del paese. Il maresciallo Dominici si avvicinò al banco e ordinò un caffè. Passò qualche minuto e due appuntati dei carabinieri parcheggiarono l’auto ed entrarono, avvicinandosi al signor Tognetti, figlio ricchissimo e nullafacente dell’onorevole.

«Ci segua…»

Non lo sapeva, il signor Tognetti, ma un cacciatore suo amico, un certo Umberto, aveva piazzato proprio davanti alla grotta una fototrappola per fotografare i rapaci notturni.

E aveva beccato lui.

Con la pistola mentre scendeva, con un fagotto di carte mentre risaliva.

Lui, il figlio del traditore.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...