Intorno a certi puntini sulle i, e sulla necessità del punto e virgola per chiarire gli ambiti e i ruoli della letteratura di evasione
di Andrea Giannasi
Sulla necessità della narrazione di evasione si è parlato molto negli anni scorsi. I generi, dal poliziesco al noir, dal giallo al fantasy, dall’horror allo splatter, ma anche dal rosa al glamour, passando per l’harmony, hanno sempre ricoperto il ruolo di letture di fuga e di estraneamento dalla realtà. A torto, verrebbe da aggiungere perché l’etichettare e il classificare un libro fuori dal metodo Dewey o delle Regole Italiana di classificazione per autori, assume i contorni di ghettizzazione e marchiatura.
E questo è alla fine successo in Italia – e badate bene solamente in Italia – luogo nel quale chi scrive gialli o disegna fumetti, alla fine è relegato in un angolo nascosto, fuori dal cono di luce della “letteratura”.
E allora rimettiamo qualche puntino al proprio posto facendolo però senza scomodare un Simenon, che sempre a torto, viene usato come la cartina al tornasole, come l’eccezione fuori dalla regola. In altre parole un caso estremo, unico e raro perché il giudizio finale è sempre il solito: se scrivi gialli, disegni fumetti o inventi storie ambientate in qualche castello sperduto nel passato più nero e alato, alla fine non fai letteratura ma “roba” minore.
Forse in questa scala di giudizi possiamo scovare il provincialismo bieco e assurdo nel quale si muove certa gente che nel nome del romanzo classico, si allaccia la giacca e con tono snob alza lo sguardo, giudica, non legge e conforma il sistema verso le recinzioni più spinose.
Creando dunque un reparto ben separato tra chi scrive per creare letteratura e tra chi compie il gesto per divertimento.
Nulla di più sbagliato. E andiamo oltre, un passo avanti nel campo delle lettere scoprendo un’altra ghettizzazione.
Mi riferisco alla perniciosa azione compiuta a danno del punto e virgola segno di interpunzione praticamente utilizzato degnamente dalla sola grammatica italiana, e che segna il passo, il tempo, tra un respiro veloce (quello della virgola) e il fermar tutto e andare a capo (il punto).
Il punto e virgola è una sospensione del tempo, è un star per un istante nel limbo del sovrapensiero, tra le nuvole del creare e l’istante dell’attesa del piacere.
Ecco questo star in bilico è stato abbattuto dalla logica della traduzione veloce, e meno costosa, delle major che devono vendere libri – che poi si leggano è un altro discorso – ché il punto e virgola è un qualcosa che all’estero si digerisce male. Dunque via e che non si utilizzi più. In un angolo, relegato, gettato, buttato, con un colpo di giacca alla moda e tirar sul mento alla snob.
E alla fine il nemico dei nemici dei salotti buoni è lo scrittore di polizieschi che oltre a raccontare l’omicidio della bella cameriera moldava con doppio lavoro notturno e una famiglia da sfamare a casa, fa uso del punto e virgola.
Giammai.
Ecco cosa cerchiamo al Garfagnana in Giallo; la perfezione del giallista che fa uso del coltello e del punto e virgola, taglia e cuce, inventa e crea e ci fa godere di piacevoli e spesso grandi letture.
Perché alzare muri difensivi e tirar su barriere di filo spinato, rafforza la solitaria stupidità umana e serra i ranghi intorno al poco e al nulla.
E allora via alla lettura e che sia “totale”, globale, senza preclusione alcuna e che il gusto sia solo metro di giudizio, che poi anche in Dante c’è del giallo così come nell’Ariosto e persino nell’Artusi (che di nome faceva Pellegrino e che vide i natali a Forlimpopoli, che storia…), maestro di cucina e di misteri culinari.
Detto questo non aggiungo altro.
(Introduzione al volume “Garfagnana in giallo. Antologia criminale 2014”).